• Nel Museo archeologico di Napoli

    La Tazza Farnese, manufatto fabbricato in agata sardonica, è conservata nel Museo Nazionale Archeologico di Napoli, forse preda di Ottaviano nel 31 a.C.

    Le prime notizie le abbiano dal 1239. Federico II ne documenta l’acquisto, successivamente la ritroviamo in altre località del Mediterraneo fino alla sua scomparsa. Riappare a Napoli nel 1450, ancora passaggi di mano fino a giungere a Roma. Paolo II Barbo la conserva a Palazzo Venezia. Finisce nel 1471 nella proprietà di Lorenzo il Magnifico, ancora passaggi ed eccola nelle mani dei Farnese. Questi ultimi lasciano il loro nome alla tazza, oggi Farnese! È un piato da libagione cerimoniale un pezzo unico di Agata Sardonica della musra di 20 cm forse l’origine è nella città di Alessandria, i pareri sono discordanti sulla datazione indicata I-II sec. Nel suo interno l’ignoto artista ha ricavato delle figure, leggiamole insieme. La Sfinge ci dice che siamo in Egitto, la figura che la cavalca delle sette presenti, ha in mano delle spighe, accanto un uomo barbuto su un albero, con una cornucopia, ed un giovane con l’aratro e delle sementi nel sacco, due donne una delle quali regge un phiàle. Due figure alate in alto sembrano descrivere una metaforica apoteosi.

  • Mia creatura

    Il mio sud ?

    Una bambina

    i riccioli assolati

    e tra le rughe

    un sonno eterno

    lo struggimento

    la malinconia

    non cresce come gli altri

    i suoi oliveti incolti

    filari di macerie

    dove padroni

    i rovi

    e dagli approdi

    lieti e funesti

    dai sorrisi ingenui

    e maliziosi

    dorme il mio sud

    tra una battaglia

    e l’altra

    e nel suo sonno

    drogato

    dagli ‘amici’

    fugge disillusione

    e pianto,

    insegue castità

    e pudore

    e senza il sogno

    avaro di promesse

    sarebbe il giorno.

  • Quel ‘cannone’ formidabile

     Il violino più famoso del mondo, il Cannone di Niccolò Paganini, sta bene.

    ‘Le microfratture sono sotto controllo’ secondo Bruce Carlston, conservatore dello strumento con Alberto Giordano e Pio Montari, dal laboratorio europeo per la luce di sincrotrone, l’Esrf di Grenoble.

    Qui sono presentati oggi i risultati delle analisi condotte sullo strumento con tecniche in grado di esaminarne la struttura interna con il più grande dettaglio di sempre e in modo non invasivo.
    “Le microfratture ci sono, ma non è una situazione che richieda interventi. Il violino sta bene”, ha detto ancora Carlston. “Tutti i vecchi strumenti – ha proseguito – hanno qualcosa”. Costruito nel 1743 dal liutaio Bartolomeo Giuseppe Guarneri, detto ‘del Gesù’, il Cannone somma ai problemi dell’età quelli legati all’incidente avvenuto a Parigi e in seguito al quale lo strumento venne restaurato. “Avevamo il sospetto che quel restauro fosse stato un po’ debole, ma – ha detto ancora Carlston – l’analisi ha dimostrato che non è così”. Per lo strumento saranno perciò sufficienti “controlli periodici”. Il Cannone “potrà quindi essere suonato ancora, una volta l’anno” come da tradizione.

    Quella dell’Esrf è la luce di sincrotrone più potente del mondo e, grazie alla sua nuova Sorgente Estremamente Brillante, dal 2020 fornisce prestazioni sperimentali almeno 100 volte migliori rispetto al passato. Questa capacità, combinata con quelle della nuova linea di fascio BM18, offre una capacità senza precedenti di ricostruire un’immagine a raggi X 3D dell’intero violino a livello della struttura cellulare del legno, con la possibilità di zoomare localmente in qualsiasi punto, fino alla scala micrometrica. ( ANSA )

  • Oro in fili

    L’Isola Maggiore del Lago Trasimeno, è nota per l’antica arte femminile del pizzo d’Irlanda, che all’inizio del secolo scorso, questa tecnica, fu promossa sull’isola grazie al mecenatismo della Marchesa Isabella Guglielmi, che fece arrivare da Torino una maestra di Pizzo d’Irlanda.

    Fu così che nacque una scuola che produsse manufatti pregevoli, e che accolse la maggior parte delle donne di Isola Maggiore. Grazie all’introduzione di questa nuova produzione artigianale, si creò un miglioramento delle condizioni economiche della piccola comunità isolana, ma soprattutto permise una graduale emancipazione economica alle stesse isolane, dato che fino a quel momento, la fonte esclusiva di reddito era data dalla pesca del pesce di lago.

    La tecnica del pizzo d’Irlanda attecchì con una certa immediatezza, dato che, la destrezza e l’agilità manuale, era già insita nelle isolane, donne abituate a riparare e ad approntare reti da pesca. Le stesse si trasformarono in abili merlettaie, in questa arte, raffinata e creativa, nobilitata da una tradizione che, archetipicamente apparteneva ai saperi femminili, ed affondava le sue radici nelle mitologie più lontane.

    La rete, il pizzo, il merletto, divennero allora tracce visibili di una trama più vitale: quella del racconto del lavoro femminile. Un invisibile intreccio di fili che, dal mito alla storia, dipanava l’anima di donne, dalle dita rapide, sensibili, leggere, nella delicatezza dei legami e dei nodi.

    Nel tempo questa attività così fiorente diede da lavorare non solo a chi viveva all’Isola Maggiore, ma anche chi abitava sulla terraferma, in special modo a Tuoro.

  • Versi miei

    Quei pensieri resi opachi

    dalle brume della notte

    i narcisi l’han violati

    le corolle dei minuti

    il continuo ticchettìo

    d’ogni uomo

    d’ogni sorte.

    Non ci negano riposo

    non rastrellano gli spasimi

    vinto il gelo

    loro

    bucano l’inverno

    e gli oppongono

    un sorriso.

    Taccia subito

    il mio canto

    quanto nobile che sia

    e nel nome di Bellezza

    chini il capo

    e infine

    giaccia.

  • La nostra signora delle stelle

    La mattina del 29 giugno 2013 l’Italia pianse la sua Signora delle stelle. Margherita Hack aveva compiuto da pochi giorni 91 anni, e lasciava un grande vuoto nella comunità scientifica. Hack era nata il 12 giugno 1922 e già a 23 anni, nel 1945, si era laureata in fisica, e nel 1964 vinse il concorso per la cattedra di astronomia all’Università di Trieste, diventando la prima donna chiamata a dirigere un osservatorio astronomico in Italia. Astrofisica, accademica, divulgatrice brillante e instancabile, pioniera, attivista: è difficile descrivere in poche parole l’essenza di Margherita Hack, una delle scienziate più brillanti del Ventesimo secolo, pensatrice libera dotata di una profonda spiritualità atea, in dialogo continuo con i più grandi pensatori della sua epoca, sempre in campo per la difesa dei diritti civili e degli animali.

    Stasera RAI UNO le ha tributato un dovuto omaggio con un film. E io ho così chiuso la mia giornata di festa degnamente…

  • La mia latitanza

    Son quasi 4 gg che sto male. Credo che mi sia beccata un virus influenzale che mi ha preso lo stomaco.

    Il 5 sarà il mio compleanno. Spero di stare bene per quella data.

  • La speranza

    Questi versi me li ha mandati mia sorella Silvana.

  • L’artiglio russo

    Non ho mai dedicato post alla politica, ma stavolta farò una eccezione.

    Sembra la trama di un film horror quanto è accaduto all’ oppositore politico Alexei Navalny.

    Secondo SkyTg24 le accuse contro Navalny si manifestano attraverso la diffusione di immagini manipolate e informazioni fuorvianti, come le foto false che lo ritraggono con un tatuaggio di Adolf Hitler, intese a sostanziare la sua adesione all’ideologia nazista.

    Mi interrogo chiedendomi: ma davvero Putin o chi per lui pensavano di tacitare una voce di dissenso in questi tempi di intelligenza artificiale?

    Davvero si crede che nel mondo tutti si siano bevuto il cervello???

  • Il ‘tintinnabulum’ polifallico di Pompei

    Quando la Sfiga colpiva… a Pompei si tiravano fuori gli attributi…

    Nella foto potete vedere un Tintinnabulum raffigurante un Mercurio polifallico. La scultura, in bronzo, proviene da Pompei, risale al I secolo d.C., ed è custodita presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inventario n. 27854)

    Il Tintinnabulum era un sonaglio, azionato dal vento, e composto da più campanelle legate a un’unica struttura portante. Spesso il Tintinnabulum era raffigurato come un Fascinus: una figura magico-religiosa che aveva il compito di allontanare il malocchio e portare fortuna e prosperità. Spesso il Fascinus era dotato di un fallo gigantesco che ne aumentava l’efficacia

    Nel caso specifico il padrone di casa doveva essere decisamente sfigato perché il personaggio rappresentato è, non solo polifallico, ma i falli gli si dipartono dalla testa a sfidare la sfiga potenzialmente proveniente da tutte le direzioni. Le campanelle, allo stato mancanti, erano attaccate alla punta dei peni laterali